Martedì 24 agosto 2021 gli esami:
una quindicina di giovani viticoltori e winelover in audizione dinnanzi al guru del vino Donato Lanati
“Conoscenza, competenze e convinzione alla base dei cambiamenti di successo”
“Personalità e longevità del vino: diradamenti decisi; un grappolo a tralcio”
Attenzione puntata su longevità e personalità dei vini, impatto climatico, problemi fitosanitari e spumantizzazione durante l’esame finale del Corso Mastro di Cantina (anno scolastico 2019-2020) sostento martedì scorso, all’Itas Vincenzo Luparia di San Martino di Rosignano, da una quindicina di giovani viticoltori e cantinieri, nonché wine lover. Nella Commissione d’Esame, la prestigiosa presenza dell’enologo e direttore del corso Donato Lanati, dell’enologa e biologa Dora Marchi e della biotecnologa e wine educator Costanza Fregoni, già docenti del corso stesso.
Dirette, puntuali e a bruciapelo le domande di Lanati, severo presidente della Commissione d’Esame e promotore del rilancio dell’enologia monferrina, a partire da “cosa rende longevo un vino?” e “come fare affinché un vino esprima personalità?”.
Per garantire longevità, alcol e tannini sono certamente elementi importanti per via delle loro capacità antiossidanti e antisettiche, ma “la longevità arriva principalmente dal terreno” ha precisato Lanati. “E’ la presenza di specifici microelementi in determinati sottosuoli a garantire longevità. Per simbiosi, in determinate aree, attraverso le radici, le micorrize ricevono gli zuccheri derivanti dalla fotosintesi delle foglie della vite e, in cambio, rilasciano cesio, rubidio, stronzio, manganese e altre sostanze organiche. Aree ideali nelle quali l’ambiente (suolo, vite e clima) favorisce lo sviluppo di molecole che sfuggono al dominio del Dna della pianta e, quando compreso, garantisce longevità e personalità al vino. Condizioni che, tuttavia, possono variare da zona a zona e, persino, nell’ambito dello stesso vigneto. “I primi vini del mondo saranno quelli longevi e dai colori stabili” ha concluso Lanati; “inoltre, salvate i vigneti vecchi: una pianta di rosso inizia a fare qualità dopo 15 anni, quando l’apparato radicale è ben sviluppato”.
Nessun dubbio su come ottenere vini che esprimano i rispettivi territori: il segreto sta tutto nel diradamento netto e sostanziale. Solo riducendo a 45/60 quintali la resa uva/ettaro (un grappolo a tralcio) i vini avranno personalità e saranno in grado di esprimere il gusto e il profumo della propria terra. Certamente, il diradamento è una sofferenza per il viticoltore, ma la soddisfazione che verrà sarà altamente appagante e in grado di superare le difficoltà iniziali. “Le aziende funziono quando la gente ha il coraggio di cambiare; conoscenza, competenze e convinzione sono alla base dei cambiamenti di successo”.
Il momento ideale per intervenire col diradamento (eliminando i grappoli meno colorati) è quello dell’invaiatura, quando le cellule degli acini, da organo fotosintetizzante, diventano organo di accumulo e non moltiplicandosi non aumentano di volume dell’acino.
Rispetto ai cambiamenti climatici è stato ricordato che è tempo di “scrivere una nuova pagina dell’enologia. Se vogliamo evitare di spostare la nostra viticoltura a nord, dobbiamo agire; sono 70 anni che non si lavora più sui portainnesti. Solo la ricerca e le analisi permettono di comprendere gli effetti del fenomeno climatico. La ricerca è il futuro della tradizione”.
Tra i temi discussi, anche la scelta dell’inerbimento spontaneo e controllato tra i filari, utile a mantenere fresco l’apparato radicale e a contenere la perdita di terreno in condizioni di forti pendenze. Due soluzioni analoghe ma con caratteristiche diverse. Infatti, nelle zone a rischio di Cicalina del Legno Nero (Hyalesthes obsoletus) “è preferibile inerbimento controllato, in quanto privo delle erbacce di cui si nutre la Cicalina stessa”, è stato precisato.
In ultimo, per i vignaioli che, seppur nati nella terra dei rossi, vogliono stare al passo con il mercato, non poteva mancare una parantesi sulla spumantizzazione. In particolare, si è parlato di come controllare l’ossidazione, specialmente dopo i 10 anni, ovvero del fondamentale ruolo dei lieviti.
Il corso, nato e pensato per trasferire competenze specifiche finalizzate a definire una nuova figura intermedia tra quella dell’enologo e quella del cantiniere, ha contato sulla partecipazione di numerose aziende, ovvero di giovani viticoltori e qualche appassionato, provenienti da Monferrato, Acquese, Verbano, Roma e Georgia.
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